Per noi Homo Sapiens cantare è qualcosa di innato, ancora più del parlare. Il canto infatti potrebbe aver posto le basi per lo sviluppo della capacità, unica della nostra specie, di formulare parole e frasi. Alcuni ricercatori tuttavia sostengono che prima di noi, già l’Homo di Neanderthal usasse il canto come mezzo di comunicazione, al posto del linguaggio. Prima di estinguersi 40.000 anni fa, è stata una specie di ominidi che ha vissuto in contemporanea all’Homo sapiens, tanto che intorno al 250.000 a.C. le due specie si sono incrociate e fino al 4 per cento del nostro DNA deriva da loro.

L’Homo di Neanderthal non era così tanto diverso da noi e, anche se non possiamo esserne sicuri, molti elementi provano il fatto che potesse cantare. Lo suggeriscono la lunghezza e la posizione della sua laringe nella gola, le lunghe corde vocali, l’ampia cassa toracica e le sue capacità cognitive. Il ritrovamento di ornamenti di ossa incise, pezzi di conchiglie e denti di animale trovati negli scavi testimoniano che l’Homo di Neanderthal potesse avere persino una sensibilità artistica. Del resto le melodie e il ritmo non sono mai state estranee alla natura: gli uccelli cantano per corteggiare il proprio compagno e i gorilla battono le zampe sul petto come se fosse una batteria.

 

L’Homo di Neanderthal potrebbe essere quindi l’antenato più antico e vicino a noi che iniziò a cantare per esprimersi. Per canto non dobbiamo pensare alle nostre melodie, costituita da parole e frasi in musica, ma a un “Hmmmmmm” modulato in diversi toni e ritmi. Una specifica modulazione poteva corrispondere a “Tranquillo, la mamma si occupa di te” oppure a un “Ehi guarda fuori!”. Nel libro The Singing Neanderthal, l’antropologo Steven Mithen racconta come il canto servisse in particolar modo per confortare i malati, far addormentare i più piccoli ma anche per divertirsi. Si ipotizza che una parte delle grotte dove vivevano fosse utilizzata per dormire oppure per esibirsi nel canto, danza e mimica.

 

Dopo l’Homo di Neanderthal, la nostra specie nel corso di migliaia di anni ha imparato a utilizzare la musica per esprimere le emozioni e il linguaggio per scambiare informazioni. Anche se la separazione non è così netta, nel tempo il linguaggio è diventato un sistema comunicativo basato su fonemi, mentre la musica un insieme di melodie, formate da suoni e ritmi. Ed è rimasta per noi qualcosa del tutto naturale: un bambino di quattro mesi può imparare a intonare i primi vocalizzi e cantare può persino aiutare a curare le persone con afasia, un deficit del linguaggio. La Melodic Intonation Therapy sfrutta proprio l’abilità di intonare melodie e andare a ritmo per imparare a parlare in modo fluido.

 

Al di fuori delle condizioni patologiche, la musica è da sempre stata utilizzata per aiutare la memorizzazione dei testi e renderli più piacevoli, per esempio nei rituali religiosi. Ma soprattutto crea coesione tra le persone nei momenti di gioia e difficoltà. Proprio come il linguaggio ha permesso all’Homo sapiens di aggregarsi in comunità sempre più grandi, di esprimere emozioni, condividere valori e conoscenze. Se siamo gli Homo sapiens di oggi, forse, lo dobbiamo anche al canto dell’Homo di Neanderthal.

 

 

  1. Camilla Fiz

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